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Fotografia di Roberto Barberini/Blow Up

Giovanni Sartori

“La corsa verso il nulla ” – ITALIA OGGI

Ci ostiniamo pervicacemente a ritenere che non siamo in guerra soltanto perché non l’abbiamo dichiarata noi

di Gianfranco Morra 

I novanta li ha ormai alle spalle, ma la sua attività è quella di sempre. Retta da una lucidità intellettuale e da uno stile che unisce la ragionevolezza pacata ma incalzante con il realismo spietato delle indagini, che qualche volta può anche sbigottire. Ma Giovanni Sartori non si diverte a fare il «bastian contrario», il suo imperativo è lo stesso del Segretario fiorentino: «Andare dietro più alla verità effettuale delle cose, che all’immaginazione di essa» (Principe, 15), per smascherare le sterili e deludenti utopie, religiose o laiche che siano.

I suoi fotogrammi del nostro Bel Paese sono lucidi e convincenti. In questi giorni è in libreria l’ultimo canovaccio di questo toscanaccio, dal titolo un po’ jettatorio: La corsa verso il nulla (Mondadori), dedicato: «A Isabella con amore» (la sua giovane sposa, appena impalmata). In dieci medaglioni scolpiti con maestria ci offre un quadro un po’ crudele ma realistico dei pericoli che incombono sulla nostra Italia. In sole cento pagine una vera summa di ciò che ogni politico, anzi ogni cittadino dovrebbe sapere, per evitare il buco nero in cui rischiamo di cadere. Pagine di alto spessore: una analisi di rara penetrazione del mito nefasto della rivoluzione, della rievocazione della nascita in Europa di una convivenza non più basata sulla legge del più forte, del sistema elettorale a doppio turno. La parte più vivace e utile del volumetto sartoriano riguarda le sorti dell’Italia e dell’Occidente nei confronti della duplice aggressione del mondo islamico per mezzo della immigrazione e del terrorismo.

Contro l’impudica pruderie dei politici e il buonismo interessato dei pastori, Sartori non esita a mostrare che ci troviamo in una guerra, non meno reale anche se non è stata dichiarata da noi: 1) terroristica, in quanto uccide indiscriminatamente e anche a caso; 2) globale, come reazione alla conquista economica del mondo da parte dell’occidente e alla sua pretesa «atea» di imporre dovunque la democrazia; 3) tecnologica, che si serve delle più recenti ed efficaci armi e strumenti informatici; 4) di religione: «la straordinaria forza del terrorismo islamico deriva dal fanatismo religioso ed è protetto dalla fede religiosa».

Chi nega che di guerra religiosa si tratti possono essere solo i furbetti della politica o gli ignoranti della storia delle civiltà. Alcuni elzeviri di Sartori, soprattutto quello contro la ministra dell’integrazione, la congolese Kyenge, gli provocarono l’accusa di «razzismo» e difficoltà al Corriere della sera. Spiaceva ai politicanti corretti la sua convinzione che fra le civiltà c’è sempre conflitto («clash», scontro, come è nella classica opera di Huntington), che può diventare anche guerra. In nome della sua religione fanatica e invasiva, l’islamismo lotta contro il «grande Satana», quell’Occidente laico, nato da filosofia greca, diritto romano e religione cristiana, che distingue religione e politica. L’Europa è democratica, l’Islam teocratico. Quale integrazione sarà mai possibile?

Una religione nata e rimasta forte e guerriera, mentre il cristianesimo si è laicizzato nella modernità, divenendo pluralista e tollerante, il suo diritto naturale difende la libertà individuale e i diritti dei cittadini, lo stato non è più invasivo e distributivo, ma difensivo e protettivo. Il Califfato non è una anomalia, ma la necessaria traduzione del Corano in politica (khalîfa significa «Vicario di Dio»). Una nazione islamica può diventare laica solo eliminando il califfato, come fece nel 1924 Mustafa Kemal, per creare in Turchia uno stato «occidentale», che tuttavia riuscì a sopravvivere solo dentro una dittatura di militari e oggi mostra nostalgie teocratiche. La storia insegna che una religione forte ha più probabilità di imporsi di una debole e moderata: «temo che vincerà l’Islam estremista e fondamentalista». I governanti italiani, invece, negano o minimizzano il pericolo e insistono a parlare di civiltà pluralistica, integrazione fra le religioni, confronto tra le etnie, vogliono sostituire il jus sanguinis col jus soli: «un esercizio evasivo di viltà e cecità».

Secondo Sartori la situazione sarebbe peggiorata con un papa che non parla più di anima, ma solo di giustizia economica e sociale (il danaro per lui è «sterco del diavolo»): «Il «grande ricco» che ci fa più spendere, visto che caldeggia un’immigrazione pressoché illimitata, è la Chiesa cattolica». Proprio mentre la religione europea ha perso i suoi sostegni di Atene e Roma, per privilegiare «una fede che emargina la ragione e la ragionevolezza» e che si serve soprattutto di quell’offesa all’intelligenza umana che sono la televisione e i social network: un «ricorso» vichiano dalla intelligenza e dalla riflessione alla barbarie del senso e alla magia.

Sartori ha diffuso le sue idee soprattutto con gli elzeviri, alcuni dei quali rielaborati in quest’ultimo saggio. Inevitabile che vi siano affermazioni note e ripetute. Ma se i lettori dei suoi dotti libri non possono essere troppi, questi brevi articoli offrono a molti stimoli di riflessione. Anche quando le sue provocazioni possano ingenerare delle perplessità.

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